Se ce la fanno i rifugi…

Ciao!

Carissimo imprenditore, oggi ti porto a conoscere una realtà ben più complessa della nostra.

Tu pensi: “Quest’anno siamo davvero sfortunati e disgraziati, non ce la faremo mai, dovremo chiudere…” e ogni giorno il tuo umore peggiora sempre più.

Male malissimo!

Tu sei abituato a vedere il tuo orto, ma prova ad allargare l’orizzonte e scoprirai che ci sono persone che stanno combattendo in maniera più dura della tua, con armi praticamente di plastica.

Forza, zaino in spalla, partiamo.

Scegliamo una qualunque vallata alpina. Lasciamo l’auto e iniziamo a camminare… per ben due ore.

Fatica, vero? Già, molta.

Dopo due ore o più arriviamo all’agognato rifugio, gestito o meno dal Cai.

E qui inizia il bello.

In questa pazza stagione Covid, i rifugi devono comunque seguire le regole di igienizzazione e distanziamento sociale.

Per cui, molto rapidamente:

devono fare sedere meno persone all’interno (loro hanno grandi panche, al posto di 8 persone per panca… 4 o anche meno).

Devono ridurre i posti nelle camerate.

Non possono concedere l’uso delle ciabatte comunitarie a chi si ferma a dormire ed è stanco morto.

Non possono dare le coperte, ciascuno deve arrangiarsi con il sacco a pelo.

Devono attrezzarsi con un chioschetto fuori dal rifugio per servire cibo e bevande, peccato che in montagna il tempo cambi nel giro di 5 minuti e possa anche nevicare in pieno agosto.

Infine… tutto il cibo, se il rifugio è ubicato in una zona impervia, viene consegnato con l’elicottero… e ti lascio solo immaginare i costi.

Ecco, ho completato il quadro.

Hai capito, vero, il mio messaggio.

Fare il rifugista, il barista, il ristoratore… non è una professione. È una vocazione.

Che le persone sono disposte a seguire con enormi sacrifici.

E anche quando la stagione pare rovinata, noi siamo comunque lì, a inventare, cambiare, migliorare. Perché amiamo accogliere i nostri clienti, perché vogliamo bene ai nostri collaboratori, perché non potremmo fare diverso.

Fare un caffè per l’operaio che attacca il turno alle 6 o per la persona che giunge stremata al rifugio richiede lo stesso spirito di attenzione e supporto.

Se non hai questa vocazione, passerai il tempo a lamentarti.

Se ce l’hai, farai tesoro dell’esperienza che ti ho raccontato e ogni giorno partirai “carico” verso la tua attività.

Il lavoro non è fatto solo di pianificazione, obiettivi e risultati.

Ogni tanto occorre fermarsi e chiedersi: “perché lo sto facendo”?

Se sei in grado di darti questa risposta, hai già percorso metà del tuo cammino: il resto è solo organizzazione e motivazione.

Ti invito a seguire la pagina Facebook di Ristopiù Lombardia e i miei mini-video, nei quali ogni giorno racconto uno dei 100 progetti che mi sono prefissato per uscire dalla crisi della pandemia.

Alcuni sono immensi, altri sono semplici, tutti concorrono a tenere in vita il mio sogno, che è poi anche quello di tutti i miei fidati collaboratori.

Ti aspetto al rifugio, non tardare perché la sera in montagna arriva il temporale!

 

 

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